Popoli e culture

La danza del “faux lion”
o falso leone ( simb in lingua wolof)

Si tratta di una manifestazione popolare, organizzata in molte regioni del Senegal in occasione delle festività più importanti.
In origine era un rito di possessione e risale all'epoca in cui il paese era ricoperto da fitte foreste.
Il cacciatore sopravvissuto all'attacco del leone veniva posseduto dal suo spirito, ruggiva, si nutriva di carne cruda ed il suo corpo si ricopriva di pelo.
Doveva, perciò, essere guarito da un esorcista.
Ancora oggi nei villaggi o nei quartieri popolari delle città, il ruggito del leone terrorizza e riempie di frenesia tutta la popolazione!

I Bassari ed i Bedick del Senegal

I Bassari sono un gruppo etnico di lingua Bantù, stabilitosi, dopo la nascita del parco nazionale di Niokolo-Koba, sugli altopiani del Senegal occidentale e della Guinea del nord.
Nella stessa regione vivono i Bedick che parlano una lingua propria e praticano una religione che mescola credenze animiste e cattoliche.
La loro cultura ha potuto essere preservata solo grazie all'estremo isolamento dei loro insediamenti, in piccoli villaggi nella foresta.
Contrariamente ad altri popoli dell’Africa Occidentale, i Bassari ed i Bedick sono riusciti a resistere sia alle razzie dei mercanti di schiavi che all’islamizzazione.
Sono diventati agricoltori ma non hanno abbandonato del tutto la caccia e, talvolta, praticano il bracconaggio.
Sono famosi per i riti di iniziazione che segnano il passaggio delle classi di età, durante i quali indossano maschere di rafia, diventando così l’incarnazione dei geni protettori che popolano le grotte.
Le donne sfoggiano acconciature di treccine, impreziosite da fili di perline colorate ed indossano tessuti tinti con l’indaco.
Le più anziane usano infilare, nel setto nasale perforato, una lunga spina di istrice

Peul Bororo o Wodaabe: il popolo dei tabù

Sono pastori nomadi che vivono in tutta la fascia sub-sahariana. Possiedono enormi mandrie di zebù con grandi corna a forma di lira e vagano perennemente alla ricerca di grosse pozze d'acqua per dissetarle. Hanno corpi sottili, la pelle ambrata e danno enorme importanza alla grazia e alla bellezza.
Pur essendo stati influenzati dalla cultura islamica, sono animisti e rifuggono i matrimoni interetnici. Possono avere sino a quattro mogli. La prima, che deve essere una cugina, è designata dalle famiglie, le altre sono scelte per amore.
Ogni anno, alla fine della stagione delle piogge,in qualche sperduto punto del sahel nigerino, celebrano la loro festa tradizionale: il Geerewol, in occasione della quale ragazzi e ragazze in età da marito si danno convegno per una gara nuziale, una vera e propria celebrazione dei loro canoni estetici.
Si tratta di uno dei riti di seduzione più antichi ed affascinanti dell'Africa!
I danzatori, come sofisticate modelle, si sottopongono ad una lunga sessione di trucco. Ricoprono il volto di ocra, radono i capelli sulla fronte e tingono le labbra con il carbone di vecchie pile.
Sul torso nudo indossano collane di perline ,specchietti e cauri. I fianchi sono strettamente fasciati con tessuti ricamati, sul capo indossano un turbante bianco ornato con una lunga piuma di struzzo.
Ballano fianco a fianco, con movimenti morbidi e ballando si esibiscono in una serie di buffe espressioni facciali: strabuzzano gli occhi , sfoderano enormi sorrisi per mettere in risalto il biancore dei denti e dondolano gentilmente il capo a destra ed a sinistra.
Le danze, accompagnate dai canti, durano ore e proseguono nella notte alla luce dei fuochi.
In disparte, siedono ritrose le fanciulle in età da marito, adolescenti di 13-14 anni. Bellissime anch'esse, il volto coperto da tatuaggi rituali, il corpo avvolto nei tessuti tinti con l'indaco, lanciano ai danzatori occhiate furtive.
Saranno loro, al culmine delle danze, a scegliere il compagno per la notte o per la vita.
Questo rito, una pausa nel ciclo della transumanza, è quasi una danza dell'accoppiamento che sembra sfidare divieti e tabù.

I Dogon della Falesia di Bandiagara

Le origini del popolo Dogon sono ancora avvolte nel mistero.
Certe teorie suggeriscono una migrazione in Mali dall'Egitto ma circolano ancora leggende che favoleggiano di Dei arrivati in una navicella spaziale.
I Dogon sono famosi soprattutto per le loro conoscenze di astronomia di cui parlano nei loro trattati gli antropologi Marcel GRIAULE e Germain DIETERLEN e sulla cui origine si sono sviluppate molte controversie.
Sembra, infatti, che da oltre 400 anni i Dogon sapessero che intorno a Sirio orbita una stella gemella, effettivamente scoperta solo nel 1844.
Favoriti dall'isolamento geografico, nei villaggi abbarbicati sulla Falesia di Bandiagara, ai margini del deserto, questo popolo è riuscito a resistere all'islamizzazione, conservando la fede animista basata sul culto di un unico Dio creatore ( AMMA), degli spiriti ancestrali ( NOMMO) e degli antenati.
Il primo scopo delle danze con le maschere è quello di accompagnare le anime dei defunti nel loro ultimo viaggio.
Al centro dei riti propiziatori vi sono, poi, quelli legati all'agricoltura, su cui essi basano il loro sostentamento.
Secondo le credenze, ogni notte il Dio LEBE visiterebbe l'Hogon, l'anziano che presiede alle cerimonie, sotto le sembianze di un serpente.
Molto importante, inoltre, il ruolo del divinatore che è in grado di predire il futuro osservando le impronte lasciate sulla sabbia dalle volpi, considerate animali sacri.
Il fascino esercitato da questo popolo ha attirato per decenni antropologi e viaggiatori ed ancora oggi, giungendo a Bandiagara, ci si sente trasportati in un lontano passato.

I popoli della Valle dell'Omo

In un territorio relativamente piccolo, nel triangolo sud occidentale dell'Etiopia, ai confini con Kenya e Sudan, vivono i popoli dell'Omo. Si tratta di un mosaico di etnie con tradizioni e stile di vita alquanto peculiari.
I più noti sono i Mursi, gli Hamer, gli Ari, gli Erbore, i Konso ed i Karo.
Pur abitando gomito a gomito non praticano matrimoni interetnici, mantenendo così caratteri somatici distinti.
Sono per lo più allevatori che identificano la ricchezza con il possesso di mandrie di bovini e praticano largamente razzie di bestiame gli uni ai danni degli altri.
Il furto non è considerato un reato. Al contrario, i bimbi vengono puniti non per aver rubato ma per essere stati scoperti!
Comprano armi da fuoco in Sudan e le utilizzano in piccole guerre locali che lasciano indifferente il governo di Addis Abeba.
Fra tutti ,i più insoliti sono i Mursi che vivono in un territorio quasi inaccessibile, oltre il Mago National Park.
Le donne Mursi portano un piattello labiale in terracotta dipinta.
Ancora in tenera età vengono asportati, con sistemi artigianali, i quattro incisivi inferiori e viene praticato un taglio nel labbro ove si pone un tappo di sughero. Col tempo, al tappo si sostituisce il piattello di dimensioni sempre maggiori.
Quando mangiano, devono rimuoverlo ed allora il labbrone tagliato pende vistosamente.
Molto diffuse sono le scarificazioni cutanee.
Quale segno di bellezza, incidono la pelle del petto e delle braccia con oggetti appuntiti ed infilano sottocute piccoli corpi estranei dando vita ad armoniosi decori. Come dimostrazione di coraggio e capacità di sopportazione, vengono esibite con orgoglio autentiche mutilazioni!
I corpi dipinti , ricoperti dei più svariati ornamenti, diventano così apparizioni surreali che sembrano appartenere ad un mondo scomparso.

I Gabbra

A cavallo fra Kenya ed Etiopia si trova un'immensa distesa di sabbie e savane semiaride: è il territorio dei Gabbra. Si tratta di una popolazione nomade, di origine cuscita che si dedica all'allevamento dei cammelli e vive in perfetta armonia con i ritmi delle stagioni, in perenne attesa delle scarsissime piogge.
Le loro capanne, destinate ad essere spostate per seguire gli animali, sono piccoli igloo di sterpi e paglia, rivestiti di cartone e stracci colorati. I Gabbra hanno la pelle ambrata ed i lineamenti delicati.
Le donne,slanciate ed eleganti, avvolte in tessuti colorati, paiono farfalle.
L'arrivo di uno straniero al villaggio è una festa. Indossano i tessuti migliori per ballare tutte insieme, fra risa e battimano, la loro danza rituale.
Questo popolo, in perfetta sintonia con la natura, mantiene inalterata la propria cultura e struttura sociale basata sull'organizzazione in clan patrilineari.
La famiglia, per lo più monogamica, è il fondamento della società.
In ogni villaggio, una ventina di capanne circondano i recinti spinosi che custodiscono gli animali.
Gli anziani amministrano la giustizia, dirimono i problemi e prendono le decisioni importanti, ma ciò che più caratterizza la loro struttura sociale è il sistema delle classi di età.
Ogni passaggio di fase, che comporta poteri e prestigio, viene celebrato con grande enfasi.

I popoli del Lago Turkana

Sulle sponde del mitico Lago Turkana, culla dell’umanità, vennero ritrovati i resti dei più antichi ominidi che abitarono il nostro pianeta. Un vero inferno,eppure di una bellezza mozzafiato!
Il Lago, chiamato anche il Mare di Giada, ha in realtà un colore, più che verde, quasi nero poiché riflette le rocce laviche ed i coni vulcanici che lo circondano.
Fatta eccezione per i radi arbusti spinosi, di vegetazione non vi è quasi traccia e sembra impossibile che ancora oggi, così tanti popoli si ostinino a sopravvivere lungo le sue rive. L’estremo isolamento e le condizioni di vita quasi proibitive, in un habitat infernale, dalle temperature elevatissime , permettono di incontrare popoli come i Turkana, gli El Molo ed i Rendille che sono stati poco contaminati dalla globalizzazione.

I Turkana, definiti dagli etnologi una popolazione “nilo-camitica”,sono un popolo orgoglioso, con la fama di feroci guerrieri che per sopravvivere ha dovuto sviluppare grandi capacità di adattamento. Pur vivendo di pastorizia , non disdegnano la coltivazione della terra e si cibano di tutte le carni che riescono a procurarsi.
Le donne indossano caratteristiche gonne di pelle di vacca ed esibiscono un’impressionante quantità di collane fatte con perline colorate. Questi sono gli unici colori vivaci che i neonati ,attaccati al seno materno, possono vedere in un universo totalmente bruciato dal sole.
Sono cariche di orecchini ed il labbro inferiore viene perforato per ospitare un piccolo ornamento metallico. L’acconciatura ,invece, prevede che sul capo rasato venga lasciato crescere un solo ciuffetto di capelli intrecciati ed impastati con l’ocra.
Anche gli uomini esibiscono acconciature straordinarie, incrostate di fango, pitturate di azzurro ed abbellite con piume di struzzo. Per preservarle ,non si separano mai dai poggiatesta di legno intagliato.
I famosi coltelli circolari da polso, un tempo usati per i combattimenti corpo a corpo sono oggi destinati per lo più ad usi domestici.

Il sistema sociale Turkana si fonda sulla famiglia allargata,un nucleo autosufficiente composto da padre, mogli, figlie e figli con relative mogli . Vari clan possono aggregarsi in un unico villaggio.
Il bestiame è il fulcro della loro esistenza e viene difeso a costo della vita.
Le mandrie ,di proprietà ,fino alla morte ,del padre (ekapolon) vengono pascolate da bambini e ragazzi. Solo verso i 30 anni i giovani possono pensare al matrimonio, vero e proprio contratto gestito dagli anziani.
Vivono in estesi villaggi di capanne circolari di paglia, intorno all'oasi di Loyangalani.

I Rendille, gruppo etnico cuscita di origine somala, vivono accanto ai Turkana in un loro villaggio. Hanno molti elementi di somiglianza con i Samburu di cui imitano gli ornamenti e le cerimonie. Sono anch’essi allevatori di bestiame, con il quale vivono quasi in simbiosi ,e la loro alimentazione è ancora basata su di una mescolanza di latte e sangue che custodiscono in magnifiche zucche decorate.
Le donne Rendille ,a differenza di quanto si verifica in altre società africane, godono di grande considerazione e sono padrone assolute della casa. Ciò che caratterizza il loro abbigliamento è la voluminosa collana nuziale di fibre vegetali intrecciate, ornata di cuoio e perline ed indossata al di sopra di tutte le altre, fin quasi a nascondere il viso.

Gli El Molo sono un piccolo gruppo etnico che solo qualche anno fa sembrava destinato a scomparire, decimato dalle carenze alimentari e dalle malattie dovute ai matrimoni fra consanguinei.
Oggi il loro numero e le loro condizioni di vita sono migliorati grazie ai matrimoni con i Turkana ed i Samburu e soprattutto grazie agli aiuti della missione di Loyangalani. Gli El Molo purosangue sono l'etnia più piccola del Kenya (poche decine di individui).
Anche cultura e tradizioni sono ormai quasi assimilate a quelle dei loro vicini.
Dalla cultura Samburu hanno adottato la pratica della circoncisione maschile e femminile.
Vivono lungo le sponde del lago, dedicandosi alla pesca del pesce persico e della tilapia e, poiché ne bevono le acque salmastre, hanno ormai tutti i denti bruniti e corrosi.

Il lago Turkana, infestato da coccodrilli e spesso agitato da tempeste improvvise, è un luogo ben insidioso per una pesca ancora praticata con l'arpione, da piccole zattere costruite con tronchi di palma dum!

Karimojong: la tribù dei nomadi guerrieri

Nel nord-est dell’Uganda, al confine con il Sudan, si trova la Karamoja.
Siamo ai margini del Parco Nazionale del Kidepo che fu uno dei territori di caccia preferiti dall’ex Presidente Idi Amin Dada, di funesta memoria.
E’ la terra dei Karimojong, un popolo di pastori seminomadi insediatosi nella regione del monte Moroto già a partire dal 1600, in seguito a successive ondate migratorie dall’Etiopia.
Si tratta, infatti, di un gruppo Nilotico di lingua nilo-sahariana, parente stretto dei Turkana e dei Pokot del Kenya.Le migrazioni dalla valle del Nilo generarono ,fra i vari gruppi, un’aperta ostilità che si traduce oggi in scontri armati per il controllo del territorio ed il possesso delle mandrie.
I Karimojong vivono,combattono e muoiono per il loro bestiame!
Esso è al centro della vita della tribù che è in costante movimento, alla ricerca di nuovi pascoli e corsi d’acqua.
Queste terre , soggette alla dura legge della sopravvivenza, sono il teatro di costanti razzie di bestiame, organizzate per ricostituire le mandrie dopo le carestie, per avere animali da sacrificare durante i riti di iniziazione o per pagare il “prezzo della sposa”.
Pur essendosi formalmente convertiti al Cristianesimo, quasi tutti praticano la religione tradizionale che venera il Dio AKUJ.
La famiglia Karimojong,formata da un uomo anziano con tutte le sue mogli, i figli, le nuore e le figlie nubili, abita piccoli villaggi semi-permanenti di capanne circolari ( manyata).
Ogni villaggio prende il nome dal capo-famiglia.
Spesso più nuclei familiari, legati da relazioni di parentela o di semplice amicizia, convergono in un unico villaggio e collaborano alla difesa dei beni comuni.
Le capanne dal tetto conico in paglia sono costruite su di uno scheletro di vimini intrecciati, ricoperto di sterco bovino misto a fango e circondano il recinto degli animali. Nelle immediate vicinanze si trovano i campi ove le donne, i bambini ed i pochi anziani, che ancora esibiscono gli ultimi piattelli labiali, svolgono piccole attività agricole. La coltura più importante è il sorgo, da cui viene ricavata anche una birra tiepida e torbida, accanto al mais, alle zucche ed ai fagioli.
Le donne dissodano il terreno con piccole zappe ricurve (AKUTA) portando l’ultimo nato legato sulla schiena.
Anche se vantano diritti sulla terra, esse rivestono un ruolo di totale asservimento. Sono loro affidati i lavori più duri: la coltivazione dei campi, il trasporto di acqua e legna al villaggio, la preparazione del cibo e la cura dei figli. Pur non potendovi presenziare, hanno il compito di preparare le vivande per le cerimonie di cui gli uomini sono i soli protagonisti. Fonte di ricchezza e prestigio per le famiglie, vengono usate come merce di scambio al momento del matrimonio.

L’agricoltura resta tuttora una risorsa inaffidabile a causa dell’irregolarità delle piogge e dell’assoluta mancanza di mezzi tecnologici.
Le principali fonti di sostentamento sono,pertanto, il sangue delle vacche ed il latte.
Il salasso viene praticato pungendo la vena giugulare inturgidita e prelevando 1-2 litri di sangue che verrà mescolato al latte per formare una mistura chiamata ECARAKAN, incessantemente rimescolata per evitare la formazione di coaguli.
Richiusa la ferita con un pugno di fango, l’animale viene rimandato al pascolo.

Per seguire le mandrie nelle loro peregrinazioni, i Karimojong allestiscono accampamenti temporanei che richiedono una sorveglianza armata ancor più attenta. Tutti dormono di un sonno leggero, con la nuca sistemata sull’immancabile sgabellino poggiatesta ( EKICOLON) e l’orecchio teso per individuare rumori sospetti che potrebbero tradire i nemici in agguato.

Nei villaggi, i guerrieri si esibiscono ancora nelle danze rituali, sfoggiando svariati ornamenti e bizzarri copricapi.
Sono le ultime testimonianze di uno stile di vita arcaico,minacciato da cambiamenti sociali ormai inevitabili.

Batwa: il popolo della foresta

I pigmei Batwa sono i più antichi abitanti della regione dei grandi laghi dell’Africa equatoriale.
Attualmente vivono in Uganda, Rwanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo. Rappresentano meno dell’1% della popolazione di questi paesi, per un totale di non più di 80.000 individui.
Alcuni Antropologi stimano che i Pigmei siano esistiti nelle foreste equatoriali dell’Africa per più di 60.000 anni.

La foresta impenetrabile di Bwindi, in territorio ugandese, ospita un’impressionante quanto fragile biodiversità, tra cui i famosi gorilla di montagna. Per migliaia di anni questa foresta pluviale è stata anche la dimora dei Batwa che, in perfetto equilibrio con l’ambiente e le sue creature, sono sopravvissuti cacciando con frecce e trappole e raccogliendo frutti e piante medicinali.
In costante movimento, alla ricerca di cibo fresco, i Batwa costruivano ripari provvisori di rami e foglie.

Nel 1992 la vita dei Batwa è cambiata per sempre.
La foresta impenetrabile di Bwindi diventò parco nazionale e patrimonio dell’umanità per dare rifugio a 350 esemplari di gorilla di montagna.
I Batwa furono cacciati e, poiché non potevano rivendicare alcun diritto sulla terra, non ebbero alcun risarcimento.
Diventarono così “vittime dell’ecologia”, “ rifugiati” in un territorio estraneo ed ostile, privati degli strumenti indispensabili per la sopravvivenza. Sono, ancora oggi, uno dei gruppi etnici più emarginati dell’Africa.

Le società pigmee differiscono enormemente dalle altre presenti sul territorio. Si tratta di individui incapaci di condurre una vita stanziale, che cercano un ritorno immediato dal loro lavoro, non accumulano proprietà, non possiedono nulla di superfluo e sono completamente concentrati sul momento presente.
La condivisione dei beni è indispensabile alla sopravvivenza del gruppo e questo fa sì che non vi siano sperequazioni sociali.
Le decisioni importanti vengono prese da tutta la collettività , eliminando la necessità di un vero e proprio leader ,benchè, in situazioni di emergenza, venga accettata l’autorità dei più esperti.
Conflitti, problemi o situazioni imbarazzanti vengono evitati semplicemente allontanandosi dalla fonte di difficoltà.

La foresta è parte integrante dell’identità Batwa ed è in grado di soddisfare tutti i loro bisogni. Attraverso i rituali, i canti e le danze, essi mantengono il contatto con le entità soprannaturali che la popolano.
Privati delle risorse indispensabili alla loro vita, hanno praticato il bracconaggio e si sono dedicati a forme minori di artigianato ma, nella maggior parte dei casi, sono diventati mendicanti.
Il termine “Batwa” viene spesso usato con significato spregiativo dalle altre culture che li considerano alla stregua di animali.
Quasi totalmente esclusi dalle cure sanitarie e dall’educazione, non hanno rappresentanti politici in grado di tutelare i loro diritti. Isolati e discriminati, sono tuttora vittime di intimidazioni e violenze, costretti ad abbracciare nuove fedi religiose e ad adattarsi ad un moderno stile di vita a loro totalmente estraneo.

Gli Herero del Botswana

Maun ha il fascino un po' equivoco delle cittadine di frontiera.
Sorta quasi dal nulla al limitare delle paludi dell'Okavango, sull'onda del boom turistico dei safari, sembra, al primo sguardo un'accozzaglia disordinata di baracche. Lungo le vie polverose e piuttosto caotiche si alternano magazzini forniti di tutti i generi di prima necessità, negozi di artigianato e piccole agenzie che organizzano safari o voli panoramici sul Delta.
Mescolati agli Africani di etnia Setswana, San o Herero si possono incontrare miliardari americani armati sino ai denti per una battuta di caccia grossa, backpackers o turisti raffinati alla ricerca di un'esperienza esotica di nicchia.
Il luogo più affascinante è , senza dubbio, il quartiere Herero, ai margini della città.
Le donne indossano, ancora oggi, totalmente ignare dei cambiamenti della moda, gli abiti che furono introdotti dai coloni alla fine dell'800: ampie gonne di tessuto colorato con un vistoso copricapo coordinato.
Abiti così ingombranti poco si confanno ai lavori pesanti ed alle molteplici e gravose incombenze che sono da sempre appannaggio femminile.
Tuttavia queste donne, tutt'altro che impacciate, svolgono le loro mansioni con un portamento così regale da sembrare obsolete in quel contesto di povertà.

Gli Himba della Namibiaa

Il confine tra Namibia ed Angola è segnato dal fiume Kunene che crea, in una regione altrimenti arida, un microclima tropicale. Ancora oggi, ad anni di distanza dalla guerra civile in Angola, i gruppi familiari devono violare il confine, per potersi ricongiungere.
Questo è il territorio degli Himba, un popolo di pastori semi-nomadi, famoso per la bellezza statuaria delle sue donne.
Gambe lunghe, glutei sodi, seno della consistenza del marmo, le donne Himba osservano gli stranieri con sguardi indomiti e fieri.
Portano acconciature elaborate, ottenute intrecciando i capelli con grasso animale ed argilla rossa, sormontate da un vezzoso copricapo in pelle di vacca. Una conchiglia fra i seni nudi contraddistingue le donne sposate.
I bimbi non sono da meno e sfoggiano pettinature che farebbero invidia ai nostri “punk”!
Questa cultura è oggi seriamente minacciata dal progetto di costruzione di una delle dighe più imponenti dell'Africa meridionale.
Nella cittadina di Opuwo si possono già apprezzare i primi segnali di cambiamento.
Qui gli Himba si confrontano con gli effetti devastanti del progresso ed abbandonano poco per volta la loro identità culturale.

Gli Ndebele del Sud Africa

Gli Ndebele sono uno dei gruppi etnici più creativi e fantasiosi dell'Africa Meridionale, famosi per gli elaborati ornamenti e per i decori geometrici, dai colori brillanti, delle loro case.
Popolazione di lingua Bantù, strettamente imparentati con i vicini Swazi e Zulu, sono insediati in prossimità di Pretoria.
La pittura murale, appannaggio delle donne, ha un potente valore simbolico ed esprime il legame delle persone con la propria casa.
Gli affreschi vengono rinnovati in occasione di eventi importanti come i riti di iniziazione ed i matrimoni oppure al momento del raccolto.
Gli Ndebele hanno un forte senso di identità sociale ed attribuiscono enorme importanza ai legami di parentela.
La loro fede religiosa si fonda sul culto di un unico Dio creatore ma soprattutto su quello degli antenati (AMADLOZI) che hanno la funzione di sorvegliare e proteggere i loro familiari e vanno placati con sacrifici di animali.
Ciò che li rende unici rispetto ad altri popoli sono gli spettacolari abiti tradizionali femminili che riflettono sia l'età che lo status sociale di chi li indossa e diventano ancor più elaborati dopo il matrimonio.
Gli IINDZILA o anelli da collo in bronzo e rame sono la testimonianza più significativa della loro cultura.
Dono dell'uomo alla propria moglie, pegno di fedeltà e simbolo di ricchezza, possono essere rimossi solo in caso di morte del coniuge, pena la maledizione degli antenati.

I Makonde del Mozambico

I Makonde , insediati nel Mozambico Settentrionale e nella Tanzania Meridionale, sono noti come feroci guerrieri ed il loro ruolo fu fondamentale nella lotta di liberazione dal Portogallo.
Gli uomini limano i denti per renderli più appuntiti ed accentuare l'aspetto aggressivo.
Sono universalmente noti per la loro abilità di scultori.
Le donne hanno l'abitudine di ricoprire il volto con il “ MUSIRO”, un impasto bianco ottenuto dalla corteccia di alcune piante che ha la funzione di proteggere ed ammorbidire la pelle.
Questa maschera di bellezza conferisce loro sembianze spettrali.

I Vezo del Madagascar

Si tratta di un sottogruppo dei SAKALAVA che vive sulla costa sud-occidentale del Madagascar.
Abilissimi pescatori, credono in un Dio del mare che controlla il clima e governa la natura.
Le loro canoe, scavate in un tronco d'albero, sono simili a quelle polinesiane.
Sono altresì noti per le loro tombe decorate con sculture erotiche.
Anche le donne Vezo, come le Makonde, proteggono il viso con una maschera ottenuta dalla corteccia di alcune piante.